Train de vie

Di Edoardo Navone




Viaggiare tra Pechino e Lhasa sulla linea ferroviaria che prende il nome Qinghai-Tibet, Treno del Cielo o Tibet Express è un 'esperienza di viaggio nel tempo e nello spazio ormai sconosciuta. Le carrozze marciano lentamente, senza superare i 120 km/h, raccogliendo persone lungo la sconfinata tratta. Non è tanto quello che scorre fuori dai finestrini che stupisce, spesso si tratta di un susseguirsi di fotogrammi che ritraggono paesaggi desolati e brulli, altipiani orlati dalle montagne e un cielo che da grigio diventa piano piano azzurro intenso. Stupisce piuttosto la vita all'interno. Dentro alle carrozze si vive lentamente, mangiando e dormendo, cercando spazio tra zaini e borsoni o godendo di soffici ore di noia su letti agganciati alle pareti, magari leggendo con le orecchie gonfie di musica o chiacchierando con qualche viaggiatore. Ti ritrovi per forza a familiarizzare col popolo cinese, dovendo fare i conti con le loro abitudini, troppo rumorose e sgradevoli per noi occidentali; a percorrere avanti e indietro i corridoi, riempire i termos di acqua bollente per i noodles precotti e compiere il rituale del thè, talmente frequente da sembrare un tic o un metronomo che scandisce le ore dilatate.





Così tra una tappa e l'altra, in una Cina tanto ripetitiva, si sale sul tetto del mondo, senza mai rendersi veramente conto. A Xining si può far tappa, ottenere i permessi necessari per il Tibet e ripartite su quel tratto di 815 km fino a Golmud, costruito negli anni cinquanta da Mao Zedong. Dopo si prosegue per la tratta di 1.140 km finita di costruire nel 2006 che fila verso Lhasa.
Si tratta della strada ferrata più alta del mondo, poiché raggiunge il livello record di 5.072 m sul livello del mare, superando anche il record di altitudine, pari a 4.800 m. della ferrovia andina Lima-Huancayo, ora non più in funzione.
Il percorso tra Pechino e Lhasa è lungo circa 4.200 km e viene effettuato su carrozze speciali, pressurizzate come aeroplani, dotate di bombole d'ossigeno e vetri che proteggono dai raggi UVA: l'80% del tragitto si sviluppa sopra i 4.000 metri.
Oltre il 50% della tratta non poggia su normale massicciata, ma direttamente sul terreno, che data la temperatura minima invernale di 45° sotto lo zero, è permanentemente ghiacciato (permafrost). Questa scelta, effettuata per limitare i costi di impianto e la necessità di infrastrutture, ha però creato altri problemi, dato che d'estate lo strato superiore del permafrost si ammorbidisce, compromettendo la stabilità dei binari. Inoltre, la complessità del territorio dell'ultimo tratto, per cui sono state effettuate grandi opere, come ponti e trafori, su un territorio ad alto rischio sismico ha comportato un grande sforzo e spese imponenti, tra i 3 e i 4 miliardi di dollari.
Tralasciando le conseguenze e l'impatto che questa ferrovia potrebbe causare sul territorio e sullo stesso Tibet, ci si lascia portare via in quella eterna processione, con gli occhi attacati al vetro a cercare l'himalaya, scorgendo troppo spesso minacciosi carrarmati che viaggiano sulle direttrici polverose per il Tibet. Eppure una volta giunti a destinazione si trova un popolo molto povero, di pastori e monaci dediti alla vita monastica, che potrebbero sembrare estranei alla violenza dei fatti di qualche anno fa. I soldati cinesi appostati ad ogni angolo della tranquillissima capitale tibetana fanno tornare in mente "Il Deserto dei Tartari" di Dino Buzzati, in cui il tenente Giovanni Drogo, appostato alla fortezza Bastiani, attende un attacco che mai verrà.




















































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