La lotta delle donne tibetane




Donne ghetizzate, oltraggiate, soffocate e deturpate in celle oscure, infilate in qualche lurida buca. Donne che un tempo erano considerate le più emancipate dell’Asia oggi vivono una condizione indegna.

Nel 1959 il Tibet venne invaso dalla Repubblica Popolare Cinese attuando una spietata persecuzione religiosa che portò a rinchiudere migliaia di detenuti religiosi e politici in campi di lavoro forzato: in realtà squallidi teatri di torture. Intanto un quinto della popolazione venne ucciso.

Fu allora che le donne tibetane crearono il Tibetan Women’s Association (TWA) e si riunirono in mille a Lhasa per protestare pacificamente contro l’occupazione illegittima, ma furono arrestate e imprigionate. Altre donne fuggirono in India a Darjeeling, Dharamsala, Kalimpong e Rajpur, continuando a tenere in vita il TWA, che oggi conta 38 associazioni in India, Europa, Nepal, Giappone e Stati Uniti.

Nel 1996, 11.409 tra Monaci e monache furono espulsi, mentre il giovanissimo Panchen Lama Ghedun Choeky, seconda autorità tibetana, riconosciuto e nominato dallo stesso Dalai Lama, venne sequestrato alla giovanissima età di 6 anni e di lui, ad oggi, non si sa più niente. Considerato il più giovane prigioniero politico, venne sostituito con un’estrazione fra tre papabili prescelti. Fu così che Gyaincain Norbu, del villaggio di Nagchu, figlio di una coppia di funzionari locali del Partito comunista, venne nominato nuovo Panchen Lama, per opera di quel governo cinese notoriamente ateo e contrario alla tradizione tibetana. Inutile immaginare la repulsione del popolo tibetano nei suoi confronti.





Dunque, questo è lo scenario da cui dipende la sorte di quelle donne che oggi convivono con la campagna "Strike hard" di rieducazione patriottica, contro la religione e lo spirito nazionale del Tibet.
Durissime sono le misure di pianificazione delle nascite, per cui una coppia che vuole un bambino deve affidarsi ad un sorteggio comunale. Se va male non potrà avere il figlio e potrà tentare tre anni dopo. Chi non rispetta questa politica viene multato, privato di assistenza sanitaria, dell’istruzione per i figli, perde il lavoro e l’alloggio, ma soprattutto, nella maggioranza dei casi, le donne vengono sterilizzate forzatamente o costrette ad abortire.
La sterilizzazione avviene senza anestesia, spesso in tende dove le altre vengono tenute fuori ad attendere il proprio turno, costrette ad ascoltare le urla che provengono da l’interno. Per l'aborto vengono usati bastoni elettrici che rilasciano scosse tali da ammazzare il feto. Così capita che alcune donne partoriscano bambini già morti.
Ci sono poi le donne tenute in carcere , si tratta per lo più di monache che non hanno ceduto alle intimidazioni. Vengono picchiate e stuprate perché hanno offerto la propria verginità alla religione, ma poiché la legge comunista vieta di avere rapporti sessuali coi detenuti, spesso vengono penetrate coi bastoni elettrici utilizzati per marchiare il bestiame. Vengono esposte agli assalti di cani feroci, lasciate in piedi per molte ore al sole, sottoposte alla lacerazione dei capezzoli.
Ci sono poi donne impiegate nell’esercito Popolare di Liberazione con la promessa di un lavoro, salvo poi ritrovarsi a costituire il giocattolo sessuale di soldati che amano praticare lo stupro, spesso collettivo. Così anche loro abortiscono a ripetizione, visto che i loro figli certamente non rientrano nella pianificazione delle nascite. A questo si aggiunge, da quando l’esercito cinese si è insediato in Tibet, il fenomeno della prostituzione che conta ormai un migliaio bordelli.

Ecco che cosa è successo a questo luogo di pace, disseminato di templi miracolosamente costruiti in luoghi remoti e dedicati alla meditazione, popolato da monaci, pastori, pellegrini e donne umili, ma un tempo libere.
La cina vuole imporre i propri sistemi annientando la cultura e la dignità di un popolo intero, servendosi di mezzi spietati e selvaggi, ma nonostante la sua grande forza queste donne ancora resistono e oppongono una corrosiva e invisibile forza, manifestano per il mondo i propri diritti, attraverso le iniziative delle compagne fuoriuscite dal Tibet.
Racconterei questo a mia figlia, in quest’italia di modelli sbiaditi, dove si mostrano donne lascive e uomini impotenti. Racconterei la dignità di queste creature prescelte e divine che portano dentro il miracolo della vita e della pace, madri che generano uomini e altre madri, donne che con la potenza della dolcezza e della resistenza sono più forti dell’invasore e più forti dell’orrore.